La pena per chi non rispetta la tradizione? Entrarne a far parte, in tutti i sensi
È in corso un dibattito, innescato da pubblicazioni autorevoli, intorno all’esistenza o meno di una tradizione nella cucina italiana. Secondo l’opinione di taluno sarebbe tutta fuffa ovvero un’operazione di marketing. Oibò, sobbalzo a tale affermazione, mi stranisco ma poi reagisco e penso.
Secondo gli autorevoli la tradizione sarebbe una narrazione degli ultimi decenni. Su quest’ultima affermazione posso essere d’accordo nel senso che il racconto sulla cucina (ma non solo quella) è esploso negli ultimi anni, spesso anche a sproposito, ma questo non esclude che alla narrazione preesistesse la sostanza, ovvero il narrato cioè la tradizione.
Ma cosa significa, e quale valore ha, la tradizione?
Sarebbe come dire che il medioevo è frutto dei racconti del Prof. Alessandro Barbero, ora assurto a notorietà social, allora Jaques le Goff per tutta la vita cosa ha fatto? Perdonate la divagazione storica.
Sappiamo quanto lo storytelling (forestierismo inglese corrispondente ad affabulazione/narrazione), l’arte di raccontarla insomma, sia importante nell’odierno. Lo so bene anch’io, umile oste, dell’importanza di raccontare la propria cucina al cliente. Senza esagerare e forse si è esagerato, sempre cum grano salis ovviamente.
Ma tornando al punto mi chiedo: ma il buon Pellegrino Artusi con la sua opera omnia culinaria “La scienza in cucina – l’arte del mangiar bene“, 790 ricette, raccolte in lunghi anni e viaggi per lo stivale, pubblicate a cavallo tra ottocento e novecento, lo dimentichiamo?
La sua opera, che riassume la cucina regionale italiana, oltre che ricettario è un libro del gusto testimone della tradizione italiana.
Un altro straordinario narratore della nostra cucina, nel secolo passato, è stato Gianni Brera che oltre al racconto di gesta sportive sublimate da uno stile unico è stato curioso e goloso gastronauta.
Consiglio il libro “La Pacciada” scritto a due mani con Luigi Veronelli, soprattutto nella parte in cui narra le sue peregrinazioni, soprattutto padane, in cerca di ricette e piatti succulenti.
Non tralascerei, come testimoni a favore della tradizione, gli scritti culinari di un altro grandissimo giornalista sportivo Gianni (Giovanni pure lui all’anagrafe) Mura. Ironico, fuori dal coro con la sua Olivetti al seguito in tempi ormai di PC, cultore della cucina italiana.
Lo stoccafisso: un viaggio dai mari del nord alla pianura padana
C’è un prodotto che più di ogni altro racconta la nostra cucina regionale ed è lo stoccafisso. Come lo stoccafisso, direte.
Un prodotto del mare del nord, dalle isole Lofoten, come può essere testimone della cucina tradizionale italiana?
Ripercorriamo la sua storia.
Accade che nel 1432 il mercante veneziano Pietro Querini, in viaggio verso le Fiandre, viene colto da tempeste che lo portano verso nord alla deriva con la nave disalberata. Pietro, con ciò che resta dell’equipaggio, naufraga nelle isole Lofoten.
Quando riuscirà a tornare nella Serenissima porterà con sé i merluzzi, che i locali esiccavano esponendoli ai venti del nord appesi a cavallo di paletti, gli stoccafissi (da stock ovvero bastone).
Un prodotto straordinario duro come il legno che non teme il caldo o il gelo e può stare mesi nelle stive. Viene rigenerato tramite battitura e ammollo per un paio di giorni in acqua.
Da allora viene commerciato in tutta la penisola e ne derivano numerose ricette dal nord al sud. Il baccalà (nel lombardoveneto viene erroneamente chiamato così) alla vicentina, il baccalà in umido lombardo, il brandacujon ligure, lo stoccafisso all’anconetana e quello con l’uvetta passita siciliano solo per citare alcune preparazioni.
Tutti piatti della tradizione culinaria italiana.
In Franciacorta c’è un piatto che la rappresenta ed è il manzo all’olio; lunga cottura, di cappello del prete, succulenta che riscalda gli stomaci locali (che potevano permetterselo) da centinaia di anni. Risultano documenti di Donna Veronica Porcellaga da Rovato, del sedicesimo secolo, che riportano la ricetta.
Non è tradizione questa?
Mi taccio e vi lascio un breve racconto drammatico su cosa accadde a proposito di manzo all’olio in quel di Piedeldosso.
Quer fattaccio brutto de via Forcella: quando la tradizione non viene rispettata
Duplice omicidio all’antica trattoria di Piedeldosso. Drammatico episodio nella serata di ieri in uno dei locali storici gussaghesi. Poco dopo le 19 il titolare del locale, Stefano P., ha massacrato la di lui moglie Resi M. e la cuoca filippina L.P..
Verso quell’ora grida disumane hanno attirato l’attenzione della Sig. Franca, dirimpettaia del locale in quel momento intenta a cenare con il marito Poldo, che ha chiamato la locale stazione dei Carabinieri.
I militi giunti sul posto hanno trovato l’oste in piedi, immobile vicino al camino posto in cucina, con le braccia piegate ad angolo retto ed in pugno, a sinistra, un forchettone da porchetta ed a destra un coltellaccio.
Entrambi gli strumenti grondavano liquidi corporali presumibilmente umani. La scena truculenta che si è presentata agli occhi del Maresciallo Pippo Grasso e dell’appuntato Sante Capuozzo, a detta degli stessi, era straziante e mai era capitato loro di veder tanta brutalità.
Il ristoratore, apparentemente tranquillo, osservava la sua opera con un ghigno satanico. Il corpo della cuoca filippina era aggrappato ai fornelli con la testa infilata in un grande pentolone ancora in bollore. La metà del viso emergente era orribilmente sfigurato dalle ustioni provocate dai liquidi di cottura.
La Signora Resi, moglie del duplice omicida, era sparsa ai quattro angoli di quella che era una delle cucine più apprezzate in Franciacorta. Un piede emergeva, a mo’ di zampone, dal pentolone ribollente del brodo e pezzi di difficile identificazione imbrattavano ogni centimetro di quel luogo.
Alzati gli occhi i due militari hanno scorto, sopra la grande cappa posta al centro della stanza, un viso che li osservava.
Era quello della povera signora; nel vederlo l’appuntato è svenuto ed è caduto a terra come pera matura; soccorso è stato portato al vicino ospedale di Ome dove è stato ricoverato in stato confusionale.
Un movente ‘curioso’
L’oste sollecitato a spiegazioni dal comandante Grasso ha risposto: “Il manzo all’olio non andava bene“. Nel frattempo sul luogo è giunto il magistrato di turno, dott. Furio Ferrante, accompagnato dall’ufficiale di p.g. Ispettore Gaetano Esposito.
Successivamente sono intervenuti gli agenti della Polizia scientifica per i rilevi del caso.
Il P. è stato tradotto in serata presso la casa circondariale di Canton Mombello e qui subito interrogato dal Dottor Ferrante.
Da indiscrezione trapelate dalla Procura della Repubblica di Brescia pare che all‘origine del drammatico episodio ci sia un diverbio relativo al modo di cucinare uno dei piatti cardine del locale, il manzo all’olio.
Sembra che l’oste abbia sorpreso la cuoca filippina versare olio di comodo e non extravergine del Sebino, come rigorosamente chiede la ricetta del locale, nella pentola in cui stava cuocendo il cappello del prete.
Le spiegazioni non avrebbero soddisfatto il P. che colto da raptus avrebbe infilato il viso della povera donna nella pentola.
Le grida avrebbero provocato l’intervento della Signora Resi M. ed a questo punto l’oste, mollato il capo della filippina ( ormai cotto ), avrebbe impugnato il forchettone ed il coltellaccio e fatto quanto sopra descritto alla moglie.
Antica trattoria Piè del Dòs: dove la tradizione viene rispettata
“Qui la parola chiave è tradizione. Il fil rouge della cucina corre sulla scia della Franciacorta e del suo territorio. La filosofia è trattare gli ingredienti con cura, rispettandone le caratteristiche”, spiega Stefano Pazzaglia, chef e patron dell’Antica Trattoria Piè del Dòs.
Un luogo che ha il gusto delle antiche trattorie, quelle di una volta, in cui i veri protagonisti erano una fetta di pane, un bel bicchiere di vino rosso e una sana risata.
Articolo pubblicato su www.ilfont.it